Non recidere, forbice, quel volto
Non recidere, forbice, quel volto.
(Del dolore e della memoria)
E’ qualche giorno che mi frulla in mente quel verso.
Merito di una brillante insegnante di latino ed italiano, indimenticata dai tempi del liceo e prova di quanto la passione e la saggia visione possano incollarsi ad un giovane, regalando una vita colma di strumenti per scandagliare le proprie emozioni.
E dite poco.
Lei, si, era molto brava.
Arrivava in classe sempre seria, con la ruga in mezzo alle sopracciglia ben marcata e le labbra perennemente corrucciate, la fronte alta ed i capelli sale e pepe raccolti in uno chignon perennemente disordinato e ribelle, il viso vagamente triangolare segnato da rughe ben marcate che le davano un aspetto solenne.
E con i suoi pantaloni verde acceso a zampa, le collane lunghe con cui giochicchiava mentre tu annaspavi con una versione dall’inutile latino o qualche altra inspiegabile tortura.
Asciutta nei comportamenti, tagliente nell’espressione, penetrante nello sguardo.
Uno stile unico, il suo.
Ed oggi mi ritrovo incapace di separarmi dai suoi testi, ammuffiti e colmi delle mie note, che mi sembrano preziose chiavi di accesso da non dover smarrire.
Ostico, Montale.
Eppure “Poesie scelte” sta lì, sempre in prima fila, tant’è che finisce spesso tra le ante scorrevoli dell’armadio, nel tentativo di impedire ai gatti di entrarci e fare a brandelli i miei abiti.
Con buona pace di coloro per cui i libri sono scrigni di saggezza da venerare, i miei sono sgualciti.
Almeno, quelli più usati, in un modo o nell’altro.
Curioso, come affiorino alla memoria piccoli frammenti apparentemente inabissati nell’enorme mole di informazioni e ricordi che il cervello conserva….che sembravano perduti, dimenticati ed erano invece solamente inutilizzati.
E che la Vita riporta in vita, attivando chissà quale inesplicabile processo nel nostro meraviglioso, affascinante cervello.
“Non recidere, forbice, quel volto,
solo nella memoria che si sfolla,
non far del grande suo viso in ascolto
Un freddo cala …Duro il colpo svetta.
E l’acacia ferita da sé scrolla
il guscio di cicala
nella prima belletta di Novembre.”
Il guscio di cicala.
La mia nota a latere, rigorosamente in matita, mi ricorda che è l’immagine di una reliquia di vita.
Il guscio della cicala che fu, cade nella melma di Novembre.
Se ne è andato a Novembre, il respiro della mia mamma.
E adesso che non lo sento più, si è risvegliata nei miei ricordi questa supplica in versi che per anni è rimasta nascosta in chissà quale cassetto.
Ci è voluto qualche tempo, giusto il necessario perché il dolore divenisse reale anche per la mente e le domande cominciassero ad affiorare.
I primi tempi, la sofferenza attacca il corpo, lo scuote, lo svuota, lo fa fremere ed indurire, mentre la mente annebbiata assiste semplicemente.
Non le appartengono, infatti, gli strumenti necessari per vivere il momento.
La morte non si controlla, non si comanda, non si comprende: non esiste risposta, né consolazione alcuna. Nessun appiglio, né scappatoia.
Affidarsi alla mente, quando siamo vittime del lutto, è una condanna alla pazzia, alla rovina certa, alla sconfitta più dura.
Non c’è scelta, occorre lasciarsi andare al corpo, seguirlo ubbidienti nei suoi bisogni, cullarsi e coccolarsi, accettare silenziosamente ed umilmente che non ce la si farà, perché non c’è nulla da “fare” ma tutto deve essere, duramente, quello che è.
Impotenti. Oltre che smarriti. Ci scopriamo fragili, ci affidiamo agli altri perché si prendano cura di noi, che con cura scegliamo a chi aprire il nostro animo ferito.
Che lentamente, nei giorni, comincia poi a respirare di nuovo, vinto dalla vita che sempre prevale, forte come null’altro, come nessun altro può essere.
Sfiniti, sfregiati, dolenti e ricurvi cominciamo ad affacciarci alla nuova, sconosciuta normalità monca che ci aspetta ed è allora…. che cerchiamo quel volto.
Ed inorriditi, lo troviamo solo nel ricordo.
Ma come può il ricordo essere accarezzato, che profumo ha il ricordo e che voce ?
Una gemma preziosa che rimarrà uguale a se stessa, incapace di regalarci nuove emozioni e gioie, rimanendo mestamente fisso come un quadro, con la nostra mente come cornice.
Mente che ritorna allora prepotente a farsi sentire, cercando di afferrare quei pochi brandelli che rimangono e che, atterrita, ad un certo punto si chiede: e se anche quella immagine sparisse ?
Non recidere, forbice, quel volto che è grande, fintantoché saprò vederlo ancora.
E’ tutto ciò che mi rimane, in una memoria che si sfolla, in una nebbia perenne che avvolge, nel tempo, ogni cosa.
Che accadrà, quando la forbice avrà compiuto il suo compito, togliendomi ogni consolazione ?
Ecco, io so che tornerò al corpo, perché è nella memoria ancestrale delle mie cellule che giacciono indimenticati tutti i miei avi.
Potrò ascoltare la vita scorrere ed il respiro fluire ed in essi ritrovarti, mamma.
Sarà quel corpo che abbandonerò, un giorno, a riportarmi a te, che te ne sei già liberata.
Solo allora potrò sentire il tuo profumo e la tua voce e le tue fragili braccia abbracciarmi ancora.
Accadrà, quando la mente accetterà il silenzio.
Occorre ancora pazienza e tempo, occorre chinare il capo davanti ad un mistero mai capito.
Eppure, non ti ho persa.
Forbice o non forbice, sarai con me.
Non ti vedranno i miei occhi, non ti vedrà la mia mente attraverso quel quadro, eppure ti sentirò in ogni mio respiro e sarai con me, ogni volta in cui avrò il dono di essere felice e di sentirmi in pace.
No, non reciderà il tuo volto e nessuna nebbia potrà far dimenticare al mio spirito che ci siamo appartenute, in vita, ed è la Vita ad unirci.
Per sempre.
Quel sempre che non esiste ma del quale siamo piccoli, insignificanti e brillanti frammenti.